
Giulia Vittori
Peculiare stadiazione clinica della malattia venosa cronica che contribuisce a indirizzare una corretta diagnosi
Gli autori descrivono l’atrofia bianca, manifestazione clinica presente con discreta frequenza nel paziente affetto da M.V.C. nelle classi C4-C6 della stadiazione CEAP. Tale manifestazione, riconducibile a patogenesi vascolare, ha come organo bersaglio la cute perimalleolare e rappresenta una condizione clinica fortemente peggiorativa nella evoluzione del quadro flebologico, compromettendo significativamente la qualità di vita dello stesso paziente per la sovente grave sintomatologia dolorosa che essa determina e perché costituisce frequentemente il “locus minoris resistentiae” cutaneo da cui può originare una lesione ulcerativa o una sua recidiva.
Introduzione
Lo stadio C4 della classificazione CEAP della malattia venosa cronica si caratterizza per le alterazioni discromico-distrofiche rappresentate dalla lipodermatosclerosi, dall’atrofia bianca (dagli autori francesi definita “atrophie blanche”) e dall’eczema da stasi; quadri che, nella stadiazione evolutiva tipica del paziente flebopatico cronico, precedono la manifestazione cutanea più grave costituita dalla lesione ulcerativa flebostatica.
A questi stadi, possono giungere sia i pazienti affetti da insufficienza venosa primaria, determinata da patologia varicosa tronculare, reticolare o mista, di vario livello di gravità, sia pazienti post-flebitici che pazienti portatori di entrambi i quadri nosografici venosi (ectasiante e post-ostruttivo). La malattia venosa cronica si caratterizza non soltanto per le manifestazioni cliniche peculiari di ogni fase della sua stadiazione, soprattutto nelle classi evolutive più avanzate, ma anche per il negativo impatto sulla qualità della vita (peggiore rispetto a molti quadri cronico-degenerativi come le artropatie e la BPCO o dismetabolici multifattoriali come la malattia diabetica) o compromettendola al pari di patologie ben più rilevanti dal punto di vista prognostico, come le neoplasie, la cardiopatia ischemica e l’insufficienza cardiaca congestizia (1).
L’atrofia bianca
È una lesione cutanea soprafasciale a tendenza ulcerativa (fig. 1).
Descritta per la prima volta da Milian nel 1929, definita “atrophie blanche” degli autori francesi, inizialmente veniva correlata alla lue e alla tubercolosi (5).
Appare sotto forma di chiazze biancastre o di color avorio talora madreperlaceo, leggermente depresse sul piano cutaneo e di grandezza variabile da puntiforme, con dimensioni sub millimetriche, fino a qualche centimetro. Queste chiazze hanno forma solitamente rotondeggiante od ovalare ma possono apparire anche di forma irregolare e, nella gran parte dei casi, con limiti non netti e scarsamente demarcati. Inizialmente poco estesa, la lesione tende a confluire in chiazze irregolarmente delimitate, nelle quali restano incluse isole di tessuto cutaneo relativamente sane, con capillari giganti che emergono come teste di spillo nei settori “malati”. Nella gran parte dei casi, l’atrofia bianca si iscrive sul terreno distrofico-discromico proprio della dermo-ipodermite siderinica. Spesso associata sia a quadri severi di lipodermatosclerosi sia a lesioni ulcerative flebostatiche, ovvero a lesioni ulcerative cicatrizzate, può precedere anche di anni la stessa complicanza evolutiva della lesione ulcerativa cutanea. Sono sedi prevalenti le porzioni distali della gamba, con preferenza per le superfici mediali, segnatamente per la regione malleolare e sottomalleolare. Si rileva una predilezione di genere, in quanto sono colpite più frequentemente le donne rispetto agli uomini, quasi esclusivamente in gambe affette da grave IVC con predilezione per le fasce di età media e avanzata nelle quali tale quadro è più frequente. L’atrofia bianca è presente nel paziente con MVC molto più spesso di quanto non sia rilevata e/o menzionata nella pratica clinica e nelle refertazioni mediche.
Si tratta di una “vasculosi” con marcata riduzione della densità capillare e conseguente abbassamento della tensione tessutale di O2. Macroscopicamente si rileva una atrofia cutanea di notevole grado, solitamente nel contesto di aree di dermo-ipodermite siderinica, in cui spiccano piccole chiazze depigmentate, spesso depresse nel territorio di distribuzione di una “unità angiosferica di rifornimento” (fig. 2). Questa definizione identifica la zona in cui l’ipertensione venosa, alla base di tutte le modificazioni microvasculotessutali, si estrinseca in maniera prevalente. In questa zona si realizzano gli effetti emodinamici correlati alle varici che scaricano il loro reflusso ematico in quel determinato distretto cutaneo. Proprio in tale area, il danno correlato alla stasi-ipertensione sarà più intenso rispetto ad altri distretti, innescando un processo infiammatorio cronico tale da produrre le alterazioni microvascolari e tessutali tipiche della “microangiopatia da stasi”. In pratica, questa zona riveste in maniera evidente il ruolo di “trait d’union” fisiopatologico tra l’alterazione emodinamica macrovasale e il danno microvasculotessutale. L’epidermide va incontro a fenomeni degenerativi distrofici con progressivo assottigliamento, fino alla riduzione a pochi strati di cellule. L’assottigliamento riguarda prevalentemente il corpo papillare con una contemporanea distensione edematosa e rottura e rarefazione di fibre elastiche e con progressivo depauperamento vascolare che può giungere fino a una completa desertificazione. Evidenti all’esame clinico le manifestazioni distrofiche, anche a carico degli annessi cutanei. Fisiopatologicamente il processo correla con il meccanismo stasi-ipertensione, con dilatazione venulare e formazione di “glomeruli capillari” e con contemporanee costrizione e microtrombosi del corrispondente versante afferente. Si può certamente concordare con l’ipotesi di Glauco Bassi che individua in un “processo microemodinamico” il meccanismo fisiopatologico alla base dell’alterazione cutanea. La condizione di stasi-ipertensione in periferia induce una dilatazione di piccole vene e porta alla formazione di circoscritti glomeruli capillari, la cui porzione afferente, in particolare le arteriole del compartimento cute-sottocute, va incontro a fenomeni di restringimento e di spasmo (forse quale meccanismo di regolazione circolatoria). Il depauperamento, la progressiva desertificazione capillare e l’aumentata omogenizzazione del connettivo determinano la decolorazione “biancastra” della chiazza, mentre i puntini rossi corrispondono ai circoscritti glomeruli capillari. Lo spasmo dei piccoli vasi afferenti, quando risulta prolungato e severo, porta inevitabilmente all’ulcerazione dell’area di “rifornimento”. Si tratta dunque in ultima analisi di “ulcere arteriose impiantate su di una alterazione della circolazione venosa (G. Bassi, 1986) (6).
Lo studio della unità microcircolatoria e le modificazioni distrettuali delle aree sedi della degenerazione atrofica cutanea fanno meglio comprendere il quadro clinico sintomatologico e obiettivo. L’epidermide e il sottostante letto papillare si rilevano nettamente assottigliati con processi degenerativi a carico della componente connettivale, in particolare rottura e rarefazione delle fibre elastiche con diffusa fibrosi. La componente vascolare (arteriolare) va incontro a una ialinizzazione e a una progressiva riduzione del lume mentre nel corrispondente versante venoso si osserva una dilatazione con ingrossamento di parete e tortuosità correlata all’ ipertensione venosa che determina un adattamento dei capillari “a gomitolo”, in conseguenza di un loro allungamento. Complessivamente, il processo di ialinosi e di riduzione del lume arteriolare produce una riduzione del letto vascolare e una progressiva ipoperfusione tessutale. La conferma viene dai rilievi transcutanei di O2 che evidenziano un cattivo apporto ematico, peggiorato dalle distanze di diffusione dal letto capillare delle zone atrofiche. Alla ulteriore riduzione del rifornimento ematico concorrono anche i manicotti pericapillari di fibrina che notoriamente si formano nelle unità microvasculotessutali del paziente flebopatico negli stadi più avanzati.
La conferma della ipotesi di Glauco Bassi viene dal laboratorio: le misurazioni transcutanee della pressione parziale di 02 forniscono valori estremamente bassi, espressione della cattiva perfusione distrettuale. Al contrario, gli studi con il laser doppler hanno dimostrato una intensa vasodilatazione in queste zone critiche. Tale associazione di vasodilatazione arteriolare e ipossia viene definita “ipossia iperemica” ed è una caratteristica peculiare della microangiopatia da stasi. Tale fenomeno può essere spiegato con la grave stasi venulare e con le alterazioni emoreologiche che ne conseguono. L’aggregazione eritrocitaria provoca un rallentamento del flusso capillare con riduzione degli scambi vasi-tessuto, aggravata dalla cuffia di fibrina pericapillare, condizioni che sommandosi ostacolano la cessione dell’ossigeno e l’edema interstiziale, legato all’aumento della permeabilità venulo-capillare. L’ aumento delle distanze intercellulari, indotto dall’edema, rende più difficili gli scambi nutritizi. Tali alterazioni emoreologiche e microvasculo-tessutali sono accompagnate da una grave infiammazione cronica, con attivazione delle metalloproteasi, del TNF e delle interleuchine che provocano da un lato danno endoteliale con trasformazioni funzionali e organiche in senso trombogeno, dall’altro lesioni cellulari che favoriscono la comparsa di lesioni trofiche cutanee che vanno dall’eczema da stasi, alla dermoipodermite cronica, fino alla atrofia bianca e all’ulcera. Le ulcere su atrofia bianca, piccole all’esordio, se non curate, possono ingrandirsi molto rapidamente fino ai limiti dell’area atrofica, sia in estensione che in profondità
La peculiarità clinica di queste ulcerazioni è la sintomaticità dolorosa sovente molto significativa. Lesioni anche minime sono caratterizzate infatti da dolori straordinariamente intensi e resistenti alla terapia. Nelle ore notturne questi dolori possono diventare intollerabili, indipendentemente dalla grandezza della lesione.
Il bendaggio compressivo è mal sopportato per cui è consigliabile procedere con compressioni crescenti per indurre tollerabilità e adattamento. Contro ogni aspettativa, sotto tali bendaggi può regredire anche l’atrofia non ancora ulcerata. La diagnosi differenziale va posta con la pseudo-atrofia bianca e con l’eczema varicoso. La vera atrofia bianca va, infatti, sempre correttamente distinta da cicatrici o da depigmentazione su varici o su siderosclerosi (la cosiddetta “pseudo-atrofia bianca” (fig. 3) (7).
I provvedimenti terapeutici da adottare sono diversi e vedono in primo luogo la correzione del binomio stasi-ipertensione da contrastare o eliminare con il già citato impiego di una adeguata elastocompressione e, quando indicato, con un appropriato e corretto trattamento chirurgico e/o scleroterapico.
Ineludibile il trattamento della componente algica, sovente insopportabile e del tutto incoerente e sproporzionata rispetto alla obiettività del quadro atrofico.
Conclusioni
Questa manifestazione cutanea, riconducibile a patogenesi vascolare da differenziare dalla pseudoatrofia, sovente esito di pregresse ulcere o lesioni traumatiche, rappresenta una condizione clinica di insufficienza venosa cronica nelle sue stadiazioni cliniche più avanzate e la cui comparsa ed evoluzione possono essere contrastate dalla correzione emodinamica della condizione di stasi-ipertensione con opzioni di trattamento chirurgico, farmacologico, fisico, elastocompressivo e conservativo proprie della MVC.
Bibliografia:
1. Mollo P.E. Lo score clinico (da: La Sindrome post trombotica) Flebologia Oggi -Edizioni Minerva Medica – Versione a stampa del n. 3: 27-34 2016.
2. Guarnera G, Papi M. L’ulcera cutanea degli arti inferiori. Editrice Monti, Saronno 2000.
3. Chatard H. Note sur la généralisation d’un eczéma de jambe. Phlébologie 32:347, 1979.
4. Bilancini S, Lucchi M,” Le varici nella pratica quotidiana” Ed. Minerva Medica, Torino 1991.
5. Milian G. Les atrophies cutanées syphilitiques. Bull. Soc. Fran. Derm. Syph. 1929; 36:865.
6. Bassi G. Compendio di terapia flebologica, Ediz. Minerva Medica, Torino 1986.
7. Guarnera G. Ulcere vascolari degli arti inferiori 69, 2016.
Autori:.
G. Vittori, Medico Chirurgo, Studio Angiologico Galeno, Colleferro
P.E. Mollo, Specialista in Angiologia Medica – INI Div. Città Bianca Veroli (FR) – Clinica Villa Gioia Sora (FR)
F. Pomella, Specialista in Angiologia Medica – Servizi Ambulatoriali Territoriali Branca Angiologia ASL Frosinone
G. Guarnera, Specialista in Chirurgia Vascolare – Aurelia Hospital, Roma – già Presidente Ass. It. Ulc. Cut. AIUC
S. Bilancini, Angiologia Medica, Studio Angiologico J F Merlen, Frosinone
M. Lucchi, Angiologia Medica, Studio Angiologico J F Merlen, Frosinone
G. Lucchi, Angiologia Medica, Studio Angiologico J F Merlen, Frosinone
S. Tucci, Angiologia Medica, Studio Angiologico J F Merlen, Frosinone
L. Guarnera, Università La Sapienza di Roma
M. Ambrifi, Specialista in Dermatologia e Venereologica – attività libero-professionale, Frosinone