
Angelo Crippa
La carbossiterapia è una pratica sicura ed efficace per il trattamento dei sintomi associati a patologie venose e linfatiche in quanto riattiva la microcircolazione, alleggerisce il carico dei vasi sanguigni e migliora l’ossigenazione dei tessuti
Le vene varicose rappresentano una delle malattie più diffuse a livello mondiale, con una prevalenza nelle donne rispetto agli uomini. Ogni anno, il numero di nuovi casi è significativo, soprattutto tra la popolazione occidentale, con una stretta correlazione con l’aumentare dell’età dei pazienti. Anche le abitudini di vita, le attività professionali, in particolare tra coloro che stanno molte ore in piedi nella stessa posizione, sono fattori scatenanti, così come anche le alterazioni della forma della pianta del piede che vanno a inficiare il corretto funzionamento della pompa plantare.
Uno studio della durata di due anni condotto nel suo studio da Angelo Crippa, flebologo ed esperto di carbossiterapia, su 80 pazienti femmine affette da malattia venosa cronica e con sintomi variabili che si sono sottoposte a un ciclo di sei sedute di carbossiterapia, ha evidenziato un progresso positivo della sintomatologia nell’80% delle pazienti e una riduzione dei sintomi nel 20% dei casi.
Dottor Crippa, qual è la definizione della malattia venosa cronica?
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la malattia venosa cronica è una patologia del sistema circolatorio che determina un deficit del flusso sanguigno dalla periferia (soprattutto dalle gambe) al cuore. È definita come varicosa, una vena superficiale, dilatata e tortuosa nella quale il sangue circola controcorrente. A causa dell’ipertensione venosa, che porta gradualmente alla dilatazione delle vene degli arti inferiori, le manifestazioni della malattia venosa cronica sono pesantezza, gonfiore, bruciore, senso di debolezza alle gambe e dolore, sino alla comparsa delle ulcerazioni a livello degli arti inferiori.
Quali sono le cause, i fattori predisponenti e l’epidemiologia delle vene varicose?
Per l’Oms nell’85% dei casi di malattia venosa cronica esiste una predisposizione familiare. La patologia colpisce maggiormente la popolazione occidentale e i pazienti di sesso femminile (con un rapporto femmine/maschi di 3 a 1). Secondo le ultime indagini epidemiologiche, si stima che in Italia colpisca il 7-35% degli uomini fra i 35-40 anni e il 15-55% di quelli oltre i 60 anni, il 20-60% delle donne fra i 35-40 anni e il 40-78% delle pazienti oltre i 60 anni. Uno studio del Medical Centre dell’Università di Chicago (USA) elenca i principali fattori di rischio che favoriscono l’insorgenza della malattia o ne causano un peggioramento: obesità, gravidanza, tumore, lesioni alle gambe o traumi; storia familiare di insufficienza venosa; l’inattività (in posizione seduta o in piedi per lunghi periodi di tempo) può causare l’alta pressione sanguigna nelle gambe e aumentare il rischio.
I segni clinici dell’insufficienza venosa sono descritti in una classificazione internazionale (CEAP) in ordine crescente, a seconda della gravità, da 0 a 6 (vedi tabella). Per la diagnosi, oltre all’anamnesi e all’esame obiettivo del paziente durante la visita flebologica, è necessario che lo specialista esegua un ecocolordoppler per un corretto inquadramento dell’estensione e della causa del problema.
La carbossiterapia può essere una tecnica di cura per la malattia venosa cronica?
Può esserlo perché la carbossierapia, che prevede l’impiego dell’anidride carbonica a scopo terapeutico, è una cura efficace e sicura per le malattie venose croniche, dai capillari alle vene varicose, dalle ulcere venose a quelle arteriose fino ai linfedemi.
In che cosa consiste questa tecnica?
La carbossiterapia consiste nella somministrazione per via sottocutanea o intradermica di una quantità controllata di anidride carbonica allo stato gassoso. È atossica, in quanto identica alla CO2 che è prodotta dal nostro metabolismo cellulare e che eliminiamo respirando. Di conseguenza, essa non risulta nociva al nostro organismo e non provoca embolia. Al termine di un singolo trattamento di carbossiterapia, la CO2 somministrata è riassorbita in pochi minuti attraverso l’emoglobina ed eliminata da polmoni, reni e pelle. Per fare un esempio, il nostro organismo, in condizioni di riposo, elimina 200 ml/minuto di anidride carbonica. In condizioni di iperventilazione ne elimina 4.500 ml/minuto.
Oltre alla carbossiterapia, quali sono gli altri trattamenti utilizzati nella cura della malattia venosa?
Altre tecniche per la cura di questa patologia sono scleroterapia (come soluzione liquida o come schiuma), laser, radiofrequenza o intervento chirurgico.
Come valuta la sua efficacia nel trattamento delle vene varicose? Qual è il vantaggio della carbossiterapia?
Secondo alcuni studi, la carbossiterapia è efficace nella cura delle patologie venose e linfatiche in quanto riattiva la microcircolazione, così da alleggerire il carico dei vasi sanguigni e accrescere l’ossigenazione dei tessuti. In particolare, la carbossiterapia ha un effetto riabilitativo sul microcircolo, in quanto determina una vasodilatazione arteriolare e meta-arteriolare con aumento della velocità del flusso sanguigno, un’apertura dei capillari e un aumento della percentuale di ossigeno nei tessuti, migliorando così l’insufficienza venosa cronica.
Quali sono i fattori individuali che fanno propendere per la carbossiterapia rispetto ad altri trattamenti?
Al paziente sono illustrate diverse tecniche per curare l’insufficienza venosa, tra le quali la carbossiterapia. In caso di presenza di vene varicose e teleangectasie, il medico consiglierà al paziente l’intervento chirurgico oppure la scleroterapia o la terapia laser, oltre alla carbossiterapia.
Ci sono controindicazioni per la carbossiterapia?
Questa metodica è sconsigliata a pazienti affetti da insufficienza renale, epatica, cardiaca e respiratoria grave. Così come la terapia è da evitare per coloro che soffrono di tachiaritmie, tromboflebiti, trombosi e di ipertensione arteriosa grave. Inoltre, non possono essere trattate donne in gravidanza, neo mamme che stanno ancora allattando o pazienti sottoposti a terapia con acetazolamide, diclofenamide o altri inibitori dell’anidrasi carbonica.
Quante sedute sono necessarie prima di ottenere un risultato apprezzabile?
La carbossiterapia può essere effettuata in ambulatorio e non necessita di anestesia. Una seduta dura in media 30 minuti, mentre la terapia è eseguita a cadenza mono o bisettimanale. Un ciclo è costituto da un numero di sedute variabili in base alla gravità della patologia da curare (in media 8-12) e può essere ripetuto due o tre volte l’anno.
In dettaglio, ci spiega come si svolge una seduta di carbossiterapia?
L’anidride carbonica è iniettata nel tessuto sottocutaneo con un sottilissimo ago monouso (lungo 13 millimetri) collegato tramite dei tubi a un dispositivo medicale. Questa apparecchiatura è dotata di bombole di gas medicali e stabilizzatori di temperatura così da modulare temperatura e velocità del flusso di iniezione dell’anidride carbonica e la sua quantità da iniettare nell’area da trattare (da pochi millilitri sino a 4.500 ml per seduta). Ciò permette una personalizzazione della terapia che tenga conto di gravità della patologia, area da trattare, risultato da ottenere e grado di sensibilità alla procedura mostrata dal paziente. Quando la CO2 inizia a diffondersi sottocute, si potrà notare un aumento di volume dell’area trattata e un crepitio alla palpazione legato alla diffusione del gas. Gli aghi possono essere usati sulla pelle con penetrazione perpendicolare (90°) o inclinati (45-30°). La facilità di diffusione della CO2 nel sottocute dipende dal grado di lassità del tessuto, per cui è variabile da persona a persona. In ogni caso, al termine della seduta, è possibile riprendere tutte le normali attività quotidiane, incluso tornare al lavoro.
I risultati sono stabili nel tempo?
Sì, i risultati sono positivi e duraturi. E a questo proposito ho realizzato uno studio durato due anni e svoltosi nel mio ambulatorio di Lecco su 80 pazienti femmine (età compresa tra 40 e 70 anni) affette da malattia venosa cronica e con sintomi variabili. Queste pazienti sono state sottoposte a terapia con carbossiterapia (con un ciclo di sei sedute somministrando 1000 ml per emilato). I risultati hanno evidenziato un progresso positivo della sintomatologia nell’80% delle pazienti e una riduzione dei sintomi nel 20% dei casi. Già dopo le prime sedute di carbossiterapia, è stato possibile notare un miglioramento della sintomatologia legata alla stasi venosa, oltre che una considerevole riduzione dei dolori e dei gonfiori.
Marcella Valverde